Roma, De Rossi spiega: “Ecco qual è stato il problema…”
Il trattamento riservato dalla Roma a Daniele De Rossi ancora non è andato giù ai tifosi. Arrivato dopo l’esonero di José Mourinho a inizio 2024, la bandiera giallorossa ha rimesso in piedi la squadra sfiorando la qualificazione in Champions League, seppur da sesti in campionato. Un miracolo sfiorato che ha spinto i Friedkin a rinnovare il suo contratto per altri 3 anni a 3 milioni di euro all’anno, con l’intenzione di far partire un progetto con lui alla guida. Poi, però, durante il mercato qualcosa si è incrinato. L’inizio di stagione è stato pessimo e i rapporti con l’ormai ex CEO Lina Souloukou si facevano sempre più tesi e difficili, fino a quando – dopo il pareggio per 1-1 contro il Genoa – non è arrivato l’inaspettato e clamoroso esonero che ha portato a una situazione ancora più tesa e drammatica in casa Roma.
Da quel giorno di De Rossi si sono sentite soltanto voci di un possibile ritorno alla Roma dopo l’esonero di Juric. Nulla di vero. Tra le parti non c’è mai stato più alcun contatto e da gladiatore ferito, l’ex numero 16 si è allontanato dalle telecamere per curarsi e tornare più battagliero che mai, magari in una nuova avventura. Oggi al suo posto c’è il maestro e amico Claudio Ranieri, ma non ha voluto parlarne De Rossi, per rispetto dell’uomo, dell’allenatore e del lavoro che sta svolgendo e dovrà svolgere. Nel corso della sesta edizione dello ‘Sport Talk Industry’, il tecnico ed ex centrocampista ha parlato di calcio, di tattica, prima di spostarsi sulla Roma, sulla leadership di Torri e sul suo ritorno da allenatore.
Il calcio, Guardiola e Gasperini
«Tutti gli allenatori vogliono emulare chi sembra geniale come Guardiola, questo però toglie il pallone dai piedi dei ragazzini per fare un’ora di tattica. Il ragazzino deve fare uno contro uno, giocare e divertirsi. Poi crescendo si deve fare un lavoro diverso, tutti gli sport stanno cambiando e si va verso una importante fisicità. Il calcio va sempre verso quei calciatori di gamba. Forse il più grande allenatore in Italia negli ultimi 15 anni è Gasperini che ha cambiato la vita di una società e di una città. Era una squadra che faceva l’ascensore e adesso è una big del calcio italiano. Adesso però che ha vinto l’Europa League è più affascinante, ma vincere un trofeo non cambia il tuo percorso. La finale la puoi vincere come ha fatto l’Atalanta ma la puoi perdere anche per un rigore sbagliato. Anche Spalletti che è un allenatore gigante dopo che ha vinto lo scudetto a Napoli viene ascoltato in maniera diversa. Per me la vittoria non è fondamentale, ma sento che chi vince ha più peso a livello di attenzione».
La leadership di Totti
«Il giocatore più forte e più affascinante è Francesco, ci ho giocato tanti anni insieme. Aveva questa luce che si portava dietro, questa leadership anche silenziosa. Parlava con i gesti, l’ho vissuto anche da tifoso come adolescente. Da avversario mi affascinava Zidane, era proprio bello da vedere e fortissimo, sia fisicamente che tecnicamente. Il più difficile da affrontare per me è stato Seedorf, marcavo grandi giocatori con grande facilità, ma con Seedorf affrontavo un giocatore più forte fisicamente, più forte tecnicamente e più rapido nelle scelte. Per allenare una squadra si può parlare di doti tecniche e di conoscenze calcistiche che servono, ma a me sta aiutando una cosa che avevo anche da calciatore ovvero l’altruismo. A me piaceva aiutare i compagni, serve altruismo dentro uno spogliatoio con 30 giocatori».
La carriera da allenatore: tra Spal e Roma
«Nel primo spogliatoio alla SPAL mi vedevano come un oggetto non identificato e dovevo fargli capire che ero al loro servizio. Alla Roma sono entrato come una bandiera del club e venivo visto quasi come amico da alcuni giocatori, devi trovare le giuste misure ed è importante anche lo staff. La parte mentale e la gestione del gruppo è molto importante, poi ci vogliono le conoscenze calcistiche. Se non hai conoscenze i calciatori ti battezzano subito».